Festival del Giornalismo Alimentare – Giorno 2

C’è un’Ape che se posa
su un bottone de rosa:
lo succhia e se ne va…
Tutto sommato, la felicità
è una piccola cosa.
(Trilussa, Felicità)

Al secondo giorno di #FoodFest17 ho deciso di cambiare pelle, e di trasformarmi da LargoBaleno in Ape. Mi sono concentrato sulle piccole cose, e sono stato felice. Felice del caffè al bar, del cornetto alla crema, dei palazzi di Torino mai visti prima, di fare foto in una enorme piazza storica, di essere in anticipo, di un sorriso al buongiorno, di scegliere posto. E mi sono reso conto che dovremmo essere api un po’ tutti, ed un po’ più spesso, lasciando le convinzioni nelle quali siamo arroccati.

Lo confesso, non è stata una reazione che il mio cervello ha elaborato autonomamente, anche perchè essendo in un regime di dieta ferreo, non carbura così tanto. E’ grazie a Monica Pelliccia ed Adelina Zarlenga, le due giornaliste che hanno fatto da relatrici al primo panel della seconda giornata del Festival, dal titolo “L’agricoltua diventa virale”. In particolare, Monica ed Adelina hanno relazionato su un’inchiesta (Hunger 4 Bees) che hanno condotto tra l’Italia e l’India proprio sul tema delle api, partendo dalla domanda “Quale relazione intercorre tra un’ape ed il tuo frigo?”

Personalmente ho trovato fantastiche le loro parole, le immagini che hanno proiettato e la passione che hanno messo, probabilmente inconsciamente, in un lavoro grandissimo che non si è limitato ad esporre l’assunto (a mio avviso ormai ovvio) che il Mondo delle api è per noi preziosissimo, e che dovremmo curarlo molto di più, ma che è riuscito a trasformare una conferenza in un viaggio cognitivo senza confronto. In assoluto la loro relazione è stata per me la migliore dell’intero Festival.

A questo link potrete scoprirne molto di più: http://journalismgrants.org/projects/hunger-for-bees

L’unica nota negativa, è stata l’assenza di un dibattito vero e proprio. Le premesse fatte dalla moderatrice, Costanze Reuscher (corrispondente dall’Italia Die Welt – D, mi avevano fatto ben sperare: “dobbiamo imparare ad informarci meglio, dagli scienziati”. In realtà, non appena è stato sfiorato il tema degli antiparassitari ed in generale dei neonicotinoidi, la gran parte dei relatori al tavolo ha preso le distanze. “Non bisogna trasmettere paura ed insicurezza ai consumatori” ha detto qualcuno. Come se parlare di una realtà, quale l’abuso di certi prodotti sui raccolti, sia sbagliato. Io penso che creare consapevolezza nei consumatori e nei cittadini, sia il dovere dei giornalisti; e se anche la realtà fa paura, non deve essere censurata.

Un grazie di cuore a chi fa giornalismo come Monica ed Adelina.

 

Nelle mia nuova veste di ape, sono volato al panel successivo: “Dall’home restaurant alle iniziative sulle food policy”.

Ho scoperto in questo panel il mondo di “Gnammo”, una app di social eating grazie alle quale i cuochi ospitano a casa propria coloro che hanno voglia di una cena diversa dal solito, e che invece di andare al classico ristorante, pagano per lo stesso servizio arricchito dalla parte “social” che manca nei locali. Insomma, il cuoco acquista una propria autonomia, e diventa umano uscendo dalle cucine. Trovo questa idea geniale (anche se non è così tanto diffusa, o almeno non lo è nella mia zona). E’ un po’ come andare a cena della nonna, ma senza le imbarazzanti domande sul “ma quando ti laurei?” “quando smetti di essere zitello?” “quando inizi a lavorare?” “quanto bene mi vuoi?”

Ho poi scoperto il “Milan Urban Food Policy Pact”, il primo patto internazionale tra Sindaci sulle politiche alimentari urbane, figlio di Expo. E finalmente ho sentito parlare di cibo come bene comune, l’ottica vincente per risolvere tante problematiche connesse al mondo del food, dell’alimentazione e dell’agricoltura in generale.

Dopo una meritata pausa caffè, ho assistito ad un dialogo, uno dei pochi, o almeno il più significativo del Festival, sulle “Paure alimentari e miti contemporanei”. Peppino Ortoleva e Carlo De Blasio, sono riusciti ad appassionare tutti in sala, esaminando in modo originale e logico tutte le paure ed i miti alimentari classici legati, dagli ogm a McDonald’s alla Coca Cola. Molte di quelle paure sono delle verità (ed è stato giusto parlarne). Altre si sono rivelate dei preconcetti inutili e maliziosi. E’ il caso dell’olio di palma, sul quale circolano alcune verità ma anche alcune azzardate ipotesi, che devono ancora essere dimostrate scientificamente. Si è parlato anche di anoressia, uno degli argomenti meno trattati in assoluto. Ed ho sentito di nuovo la storia del processo alle avvelenatrici, che ha caratterizzato la normativa dell’epoca romana, e che mi ha riportato ai primi anni di Università in cui il Professore di “Istituzioni di diritto romano” ci spiegava a lezione il motivo dell’importanza di questo processo.

 

Ultimo panel della mattina, quello che aspettavo con più impazienza, “Biotecnologie in agricoltura, nuovi scenari per l’informazione”. Ho avuto paura. Quando Patrizio Roversi, di linea verde, ha introdotto il panel con la frase “Salva una pianta, mangia un vegano”, ho temuto che l’ironia potesse prevalere e minimizzare l’importanza dell’argomento. In realtà così non è stato. Mi è piaciuto molto il suo modo di condurre la conferenza, dimostrando come la semplicità e l’ironia non siano sinonimo di cattiva informazione. Molte delle nozioni che sono state esposte dai relatori sono oggi dati condivisi e condivisibili: che molte delle bitecnologie utilizzate si siano rivelate inutili se non dannose, è un dato di fatto. Così come è vero che non tutte le biotecnologie sono dannose; e non tutte le biotecnologie sono OGM. Così come è vero che alcuni OGM sono stati elaborati per resistere ai pesticidi dalle stesse aziende che vendevano i pesticidi, il cui consumo è salito vertiginosamente. Una frase mi ha infastidito: “Il consumatore è libero di scegliere cosa acquistare ed il produttore è libero di scegliere come produrre”. In realtà non è così, per motivi ovviamente legati alla legge, ma anche all’etica ed alla morale.

Ho apprezzato molto gli interventi di Manuela Giovannetti, e non perchè è stata l’unica a rappresentare l’Università di Pisa, dove studio. Mi è piaciuta la sua concretezza e la sua oggettività, che solo una professoressa critica riesce a possedere.

Dopo un pranzo (di nuovo complimenti ai ragazzi dell’Istituto Alberghiero) delizioso ma sofferto perchè privo della mia food-amica (http://www.unarasdorasingleincucina.it/), sono tornato in sala ed i panel sono lentamente ripartiti.

“I reati alimentari in Italia”: un interessantissimo seminario, nel quale Mara Monti ha intervistato Giancarlo Caselli (Presidente Comitato scientifico Osservatorio sulla criminalità nell’agricoltura e sul sistema agroalimentare. Una frase può riassumere l’intero panel, ed è proprio di Caselli:

La filosofia della mafia è “piatto ricco mi ci ficco”.

Caselli ha definito la sua visione come una foto in bianco e nero priva del bianco, in quanto il sistema di leggi connesso ai reati alimentari è bloccato (per motivi politici, ma a mio avviso non solo), ed oggi la legge ha perso del tutto la sua funzione deterrente. Anche nella scorsa edizione del Festival era stato introdotto il tema: non c’è stato alcun passo avanti da allora, ed è questo sintomatico della situazione in cui ci troviamo a vivere. Riusciremo al Festival del Giornalismo Alimentare 2018 a sentire finalmente parlare di una legge concreta, approvata, e non solo del progetto di legge?

“I pericoli nell’era del giornalismo che guarda ai social e interagisce con i lettori”: presenti in sala oltre a Giuseppe Tipaldo, Rosanna Masserenti ed Anna Masera, Luca Mastinu di Bufale.net. E’ stato il suo intervento quello più azzeccato, in particolare con riferimento alle catene. A quelle notizie inventate che grazie al “fallo girare” diventano virali, parte integrante del credo collettivo, e che riescono a fondere l’intera impostazione dell’informazione.

“L’anno dell’olio di palma. La battaglia di comunicazione che divide i consumatori”: si, è vero, siamo tutti stressati alla sola parola “olio di palma”. Ma è anche vero che il centro del dibatto sul tema agroalimentare è rimasto bloccato per mesi sull’argomento. Di questo panel mi è piaciuto il riferimento alle diverse tattiche di mercato dei vari brand (in sostanza, chi ha eliminato l’olio di palma, ovvero la maggior parte dei produttori, e chi come la Nutella ha rafforzato la convinzione che c’è di peggio nella vita). Personalmente, credo che la scelta di Ferrero di difendere l’olio di palma, non sia affatto un atto di coraggio o una convinzione scientifica, bensì un atto dovuto. Ed è vero, come è stato detto, che lo stesso controllo che c’è stato sull’olio di palma dovrebbe esserci per molti altri oli, ma ciò non toglie che sia un prodotto sostituibile (ovviamente in meglio). Mi dispiace vedere che quando un argomento diventa diffuso, si tenda ad ironizzare. L’ironia usata con l’olio di palma è controproducente. E non mi piacciono neanche coloro che cavalcano l’onda proponendosi come bastian contrari (adesso tutti berrebbero olio di palma al posto dell’acqua, perchè fa figo).

“La marchetta in agguato”. Il panel meno riuscito. Valerio Massimo Visintin che si è proposto con il suo voler essere ribelle e diverso dagli altri denigrando il lavoro altrui, è riuscito a risultare insopportabile. Non mi è piaciuta la sua poca umiltà. Non mi è piaciuto il suo disfattismo. E non mi è piaciuto il suo maschilismo. Riuscire a dire che le food blogger si vestono in un certo modo e parlano in un certo modo, perchè donne (già, noi non esistiamo food blogger uomini non esistiamo…..), e che possono essere chiamate “fuffa blogger” perchè in realtà non hanno una conoscenza di ciò di cui parlano, è stata la ciliegina sulla torta. Davvero di pessimo gusto. Mi è dispiaciuto, anche in questo caso, che nessuno dei relatori sia intervenuto non per smentire, ma almeno per raccontare la propria esperienza, e che non ci sia stato spazio per gli interventi di noi del pubblico, per ovvi motivi legati al ritardo della giornata.

“La “questione” della deontologia nell’era del giornalismo che si sta reinventando”. Mi è piaciuto il messaggio di fondo: che esista un’etica; che esista un articolo 2 del Testo Unico che assicuri indipendenza del giornalista; che esistano giornalisti che ammettano di essere precari, ma che dichiarino di non essere disposti ad accettare compromessi. E mi sono piaciute le buone pratiche raccontate (e nel dettaglio Fuori per servizio, Sì Puglia, Spazi inclusi).

Una giornata lunga, intensa, ma bellissima dal punto di vista dei contenuti.

Bere un caffè ringraziando Monica Pelliccia ed Adelina Zarlenga; conoscere food blogger; sentire giornalisti usare il “noi” in riferimento a tutti quelli che fanno capo al nostro mondo (includendo anche me, un LargoBaleno qualunque), è stata una esperienza unica.

E sono stato ribattezzato: LargoBalenGo. E si, ne vado fiero. Come vado fiero di aver scoperto di avere parte del dna di un’ape <3