L’ultimo giorno del Festival del Giornalismo Alimentare è dedicato ai press tour, a dei viaggi alla scoperta delle storie più incredibili di Torino e dintorni pensati per gli operatori del settore food. Una delle cose magiche dei press tour è che riescono a far passeggiare insieme amabilmente giornalisti, blogger, fotografi, comunicatori, esperti di marketing. E che anestetizzano la nostalgia e la malinconia di quello che è l’ultimo giorno di Festival, che porta con sé il duro compito di fare i saluti a tutti gli amici e le belle persone che si incontrano e con cui si passano oltre 12 ore al giorno per tre giorni.
Lo ammetto, mi sono portato avanti salutando praticamente tutti il giorno prima, per potermi godere un viaggio all’insegna del gusto nel borgo di Chieri, sconosciuto ad un LargoBaleno qualunque ma degno di nota. Uno scrigno nel Piemonte, che nasconde tante ricchezze di cui fare tesoro.
La giornata è partita come al solito con una mega colazione in hotel, ma prima. Alle 8.30 con il mio zainetto e la macchina fotografica carica ero pronto a partire e mi sono chiesto se il potere dei press tour non fosse anche quello di farmi ringiovanire, riportandomi all’età delle scuole elementari e delle gite fuori porta in autobus. Con la differenza che il nostro autobus sembrava uscito da un’opera pirandelliana in cui mi sentivo stranamente a mio agio. Mancava solo la voce fuori campo che annunciasse il fatidico “che il Chieri gourmet abbia inizio”.
Da (finto) secchione mi sono studiato il programma della giornata:
L’incantevole borgo di Chieri apre le sue porte per un tour con i Maestri del Gusto della zona, con assaggi di prodotti tipici, come i grissini Rubatà e la focaccia dolce. Dopo un pranzo nel ristorante sociale dell’Ex Mattatoio, che ospita un progetto del Comune per l’inserimento professionale delle persone disabili, la giornata si conclude a suon di cocktail alla Martini Bar Academy di Casa Martini, a Pessione.
Ma non solo. Ho trovato il libro “delle Storie di Chieri – opera del nobil uomo Luigi Cibrario” del 1827, per scoprire qualcosa di più sul passato della città. Già dalla prefazione del libro, la città di Chieri mi è entrata in simpatia: viene descritta infatti come una città forte, determinata ad ottenere l’indipendenza ma allo stesso tempo accompagnata da una grande sfortuna. Un po’ come me! Sulle origini di Chieri e sui suoi primi anni di vita, ho poi scoperto nel corso della lettura che Chieri era chiamata anticamente Carea Potentia ma anche Carium o Kaira ed anticamente era divisa in quattro quartieri con sei porte. La città era ricchissima di chiese e conventi, più di quanti ne servissero realmente per il numero di cittadini mentre la campagna intorno era dominata da un’erba preziosa, il guado, ed anche se scarseggiava l’acqua era coltivata con una moltitudine di frutti. Prima del 1000 esercitavano signoria su Chieri i vescovi di Torino; dopo il 1000 il marchese Odelrico Manfredi II, padre della Contessa Adelaide (la successione è lunga, ve la risparmio). Sul finire del 1155 la città di Chieri fu distrutta e data alle fiamme, ma in breve tempo risorse dalle sue ceneri “più bella e meglio fortificata di prima”.
Come ogni gita che si rispetti, per gran parte del viaggio in autobus sono rimasto con il naso schiacciato contro il vetro per guardare il paesaggio (e la neve, che ormai sapete che amo più di Elsa, la principessa del cartone Diseny “Frozen”). Fino a quando non siamo arrivati! Abbiamo fatto ben sedici passi prima di esserci fermati alla prima tappa: Dolci & Dolci, pasticceria che offre ottimi dolci fatti con prodotti piemontesi, ma soprattutto una ampia gamma di opzioni gluten free. Penso che ogni locale dovrebbe avere almeno un piccolo assortimento di prodotti per celiaci, è una questione di rispetto e di giustizia. Da Dolci & Dolci non solo l’assortimento è ampio, ma è pure buonissimo. Non sempre i negozi “storici” sono validi, anzi capita che si facciano vanto di un nome e di una reputazione costruita nel tempo e mai consolidata, ma in questo caso è l’esatto opposto: l’esperienza ultraventennale è determinante per la buona riuscita di lavorazioni semplici così come di quelle più complesse, accompagnata ovviamente da una forte passione che solo il cibo riesce a veicolare in modo così diretto. E’ bastato mangiare una pizzetta per averne la certezza. No, non ho detto che ne ho mangiata solo una, tranquilli sono ancora il LargoBaleno di sempre!
La prima curiosità che mi è balzata agli occhi sono dei dolci tipici molto particolari, chiamati Brut e Bun (brutti e buoni), fatti con la nocciola tonda gentile delle Langhe (IGP Piemontese). Esatto, avete sentito bene: i “brutti ma boni” (o bruttiboni) toscani, in realtà sono nati in Piemonte e devono la loro diffusione anche nella nostra regione da quando la capitale d’Italia è stata spostata da Torino a Firenze.
La seconda curiosità sono senza dubbio i bon bon colorati che donano al negozio un’aria più allegra e festosa, senza renderlo kitsch: si tratta di cioccolatini ai gusti più disparati, dal ruhm alla grappa, all’amaretto e chi più ne ha più ne metta!
Alla seconda tappa ad attenderci abbiamo trovato Suor Monica che ci ha guidati ed introdotti nel Centro Italiano Opere Femminili Salesiane – Formazione Professionale dell’Istituto Santa Teresa. Vi riporto una piccola parte della storia dei CIOFS-FP:
“Raccogliendo l’urgenza di promozione sociale e culturale delle giovani donne a Mornese (piccolo centro in provincia di Alessandria), Madre Mazzarello intuisce e avvia laboratori familiari e artigianali. L’Associazione, nata nel 1967, accoglie le istanze dei Fondatori che hanno fatto della salvezza dei giovani lo scopo della loro vita, aiutandoli a guadagnarsi onestamente il pane della vita”.
Sono poche parole che racchiudono un altro dei forti poteri del cibo: quello di fungere da motore per la promozione sociale e culturale. Sembra strano, ma vedere impastare i grissini da due ragazzi tanto giovani e dediti al loro lavoro, dimostra quanto si sbagliano coloro che nei giovani vedono un peggioramento dei valori e della moralità della società. Ed arrotolare con le mie mani i grissini, seguendo i consigli e le dritte di Ugo Servetti, presidente dell’associazione panificatori chieresi, è stata un’esperienza unica: vederli poi cuocere e mangiarli, mi ha non solo deliziato il palato (merito ovviamente di chi ha fatto l’impasto), ma mi ha appagato. Si, a volte basta così poco!
Ho così scoperto i grissini rubatà, il cui nome deriva probabilmente dal “rubat”, un cilindro che si passa sui campi arati e ricorda le mani del panificatore. Sono uno dei prodotti tipici di Chieri e tradizionalmente sono lavorati a mano. Ho anche scoperto che un sinonimo di “stendere i grissini” è “flirtare”. Io che sono un LargoBaleno sono decisamente carente nell’arte del flirtare, ma ho imparato a farlo con i grissini, quindi posso ritenermi soddisfatto. Ed ho imparato anche a mangiarli senza farmi vedere dagli altri, con classe (se lo fa Buffon, che ne è un estimatore, perché non posso farlo io? Magari mi cresce anche qualche addominale, chi lo sa…).
Terza tappa: la pasticceria Avidano, uno dei Maestri del Gusto di Chieri, nonché maestro cioccolatiere (tra i dieci migliori produttori di gianduiotti nel 2009). La cosa bella è che non abbiamo mangiato dei dolci fatti da Avidano (o chi per lui), ma siamo stati accompagnati nel laboratorio dove Marco Avidano in persona ci ha insegnato tutti i passaggi per fare la tipica Focaccia Chierese (un dolce stupendo). Ho avuto il privilegio di buttarmi tra gli impasti e la farina, armato di spatola e di mattarello, per seguire le dritte di Marco Avidano e di un suo collaboratore (per altro bravissimo ed armato di una pazienza unica, oltre che di una mano da invidia). Il tutto si è concluso con l’assaggio di una Tropezienne. Ancora me la sogno di notte per quanto era buona e leggera nella sua complessità. Ma non vi chiedo di credermi sulla parola, non azzarderei mai tanto: vi chiedo di assaggiarla, di chiederne una seconda fetta, di pulirvi le mani e di scrivermi un messaggio per ringraziarmi del consiglio.
Alla quarta tappa siamo andati a pranzo, perché avevamo mangiato così poco durante la mattinata che sentivamo quel buco nello stomaco che solo i prodotti locali potevano riempire. La location prescelta è stato il Ristorante Sociale Ex Mattatoio: era il mattatoio pubblico di Chieri, oggi adibito a luogo di ritrovo dove il cibo la fa da padrone. E’ il cibo che unisce, che movimenta le giornate, che veicola i sogni e le aspettative delle persone. E che insegna. Insegna un po’ a tutti, soprattutto al rispetto, e soprattutto al rispetto della stagionalità dei piatti che comporta il consumo di prodotti locali, a km0, secondo la disponibilità del territorio.
In questa oasi verde, abbiamo avuto l’onore di conoscere proprio i prodotti del territorio, ma soprattutto i produttori, le loro storie e la loro enorme incontrastata passione per Chieri e dintorni. Il tempo era poco, purtroppo. Sarebbero servite delle ore per parlare con tutti ed uno stomaco come il mio per assaggiare tutto. Ci tengo a sottolineare che se dimentico di scrivere qualcuno è solo perché sono un LargoBaleno ed abbiamo la memoria più breve di quella dei pesci rossi: era tutto assolutamente buonissimo!
A partire dalla Tinca di Pralormo. La Tinca è un pesce d’acqua dolce delizioso. La “Tinca Gobba Dorata del Pianalto di Poirino” è una DOP, e più in particolare uno dei soli 3 pesci d’acqua dolce che costituiscono DOP in Europa. Viene consumato solitamente fritto o marinato, ed a Maggio si svolge a Pralormo la sagra della Tinca. Noi abbiamo mangiato le bruschette con Tinca in Carpione, un finger-food gustoso, con personalità, che riproporrei tranquillamente anche a casa con un prodotto d’eccellenza come quello.
Altro prodotto d’eccellenza, il pomodoro costoluto di Cambiano, che ci ha stupiti per il sapore fresco ed importante, e per il modo con cui ce lo hanno proposto: un simpatico chupito. Questo pomodoro infatti è buono nelle insalate se raccolto acerbo, oppure in salsa una volta raggiunta la maturazione. Uno spunto light e vegetariano che fa la sua figura!
Proseguendo con gli asparagi di Santena e delle terre del Pianalto, rappresentati da una giovanissima produttrice che oltre a raccontare il prodotto, ci ha permesso di fare capolino nella sua realtà in cui il legame con le scuole e le università è in continuo crescendo, ed i social rappresentano un modo per favorire il consumo di prodotti di qualità. Ottimi mangiati “ad insalata”, ma altrettanto buoni con il risotto, sono tra i primi della classe!
Ed ancora, la carne di Fassona di Chieri, la vellutata di zucca di Sciolze, i cardi di Andenzeno ed i peperoni di Carmagnola. Fino ad arrivare alla frutta. Di solito quando “si arriva alla frutta” non si indica niente di buono. Credo proprio che chi abbia inventato quel proverbio, quel modo di dire, non abbia mai assaggiato nella sua intera vita le ciliegie di Pecetto. La consumazione di queste ciliegie ha una storia lunga ed appassionante, da quando già alla fine del 1800 si utilizzavano per fare un vino dolce, fino al 2001 con il riconoscimento delle ciliegie di Pecetto quali Prodotti Agroalimentari Tradizionali. Sciroppate, al liquore, in confettura o sotto forma di Ratafà, le ciliegie di Pecetto sono sempre e comunque eccezionali, le regine indiscusse della frutta. Parlando con chi le produce, sono emersi due fattori: la ciliegia di Pecetto non è ancora la regina dei social; questo genere di frutta viene coltivato ancora in modo tradizionale, senza ricorrere a tutte quelle innovazioni tecnologiche e/o chimiche che ne faciliterebbero la protezione dai pericoli naturali, così che davvero possiamo dire di essere davanti ad una eccellenza italiana anche da un punto di vista qualitativo. Per chi fosse interessato, il 10 giugno a Pecetto si festeggia la sagra delle ciliegie!
I dolci ci sono stati offerti dalla Pasticceria Buttiglieri: gli umbertini (deliziosi amaretti), i cioccolatini con l’artemisia dedicati a Don Bosco, il chierese classico. Ogni dolcetto racconta una storia. La storia di Chieri, di Pino ed Elisabetta, i produttori, della materia prima, ed un po’ di ognuno di noi. In attività dal 1958, oggi Maestri del Gusto, e sicuramente una colonna portante per l’intera Chieri.
Ottime le proposte di vini di Luca Balbiano, Presidente del Consorzio di tutela e valorizzazione delle DOC Freisa di Chieri e Collina Torinese. Oltre alla Freisa, il Collina Torinese Cari (DOP) che abbiamo degustato con i dolci, e che mi ha colpito per il buffo “nome” con cui viene indicato, “Vin Ciularin”, dovuto al vitigno Pelaverga.
Sempre la Freisa, stavolta la Freisa di Chieri DOC frizzante dell’Azienda vitivinicola Balbiano, è stata la protagonista di un cocktail a Casa Martini. Ci siamo trasferiti lì per l’ultima tappa del tour gastronomico, ed abbiamo assistito ad una lezione base sulla preparazione di cocktail a base di Martini. Dal Martini and tonic ( ½ Martini bianco o rosso e ½ acqua tonica), all’Americano (1/3 Martini, 1/3 bitter, 1/3 soda), al Negroni (1/3 Martini, 1/3 bitter, 1/3 gin) al Negroni sbagliato di Chieri, con la freisa a sostituire il gin. Mai avrei pensato di poter mettere un vino frizzante in un cocktail (non che sia un esperto, ma non mi era mai capitato di vederlo e nella mia seppur breve vita da LargoBaleno, avevo sempre sentito dire il contrario). Eppure il gusto non è niente male, anzi, amaro al punto giusto con la spinta del bitter, reso al palato più gentile dalla Freisa.
Molto interessante anche il Museo di Casa Martini, da visitare sicuramente con più calma (e magari prima di fare la experience, se volete essere più lucidi).
E’ terminato così il #ChieriGourmet, una gita alla scoperta di quello che inizialmente pensavo fosse un “piccolo borgo” e che ho scoperto essere molto di più. Visitatela, vivetela, gustatela. Merita davvero il vostro tempo!