Avete presente il fastidio del rumore che vi ronza in testa quando iniziate a canticchiare una canzone la cui musichetta non vuole più andarsene dalle vostre orecchie? Ecco: è quella le sensazione che ho provato quando ho aperto gli occhi alle 6.00, dopo sole 4 ore di sonno per la seconda notte consecutiva, con il suono della sveglia che non voleva sparire, sebbene continuassi a ripetermi “torna a dormire, è solo un incubo”.
Dopo mezz’ora di tempo passata a svegliarmi, fissando il soffitto dell’hotel, la pareti lilla, ed il caos nella stanza, uscito tutto dallo zaino (non sembrava potessero entrarci così tante fuori, ma a vederle sparse era uno spettacolo raccapricciante), mi sono preparato alla partenza, e vestito da nerd, quasi in pigiama (che fortuna non essere fashion blogger), zaino in spalla ho fatto il checkout, ed ho salutato quell’hotel che mi ha ospitato in modo amorevole. Anche se ammetto che adesso non posso più vedere il lilla, come i tori odiano il rosso.
Non ho fatto colazione in hotel, perché Valentina mi aspettava al bar a fianco. Che poi chiamarlo bar è riduttivo. Ricreazione Coffee Cookies & Co, ovviamente a Torino (pagina facebook: https://www.facebook.com/ricreazione.torino/). Ambiente rilassante ed elegante al tempo stesso, luci soffuse, che di prima mattina non possono che far bene agli occhi, un quotidiano locale di cultura meraviglioso, ed un menù che mi ha reso titubante. Che ordinare? Ho scelto una fetta di cookie pie, ovvero una fetta di un mega biscotto grande come una torta ma croccante al punto giusto e condita con cioccolato bianco e fondente, ed un caffè espresso con panna, con zucchero di canna perché ci tengo alla linea.
Purtroppo erano solo le 8.00 di mattina, perché avevano un ricco menù anche per i pranzi con delle insalate che sarebbero piaciute persino a me che solitamente le odio, perché mi rendono triste. E da sottolineare, con il caffè un bicchiere di acqua frizzante in omaggio (che purtroppo non viene offerto ovunque, soprattutto in Toscana).
A corsa nella calma di una Torino addormentata, che era uno spettacolo da vedere, ed un privilegio per chi come me ama la quiete, ho raggiunto la Cavallerizza, per la seconda giornata del Festival del Giornalismo Alimentare!
Il primo panel è stato un caso studio dal titolo “Dalla pizzetta agli spinaci: quando la comunicazione spinge i bambini a nutrirsi bene”.
Mi è piaciuto il messaggio principale: i bambini non scelgono cosa mangiare, la responsabilità della loro alimentazione dipende dai genitori o dalle istituzioni, sono un soggetto debole, ma non per questo devono essere ignorati. Ecco perché mi è piaciuto il progetto “Il menù l’ho fatto io”, di cui forse vi ho parlato anche nella scorso post sul blog, perché già citato in interventi precedenti all’interno del festival, che prevedeva la loro partecipazione attiva nella composizione dei menù delle mense scolastiche, dopo una formazione da parte di nutrizionisti, dietologi, ed esperti del settore. Dopotutto spesso le idee geniali vengono ai bambini prima che agli adulti, ed ignorarli sarebbe da stupidi. Allo stesso tempo importante è coinvolgere i genitori per creare e ristabilire con loro un rapporto di fiducia, che con il tempo è andata persa. E’ uno dei problemi di oggi, dal mio punto di vista: il fatto che siamo sempre più sfiduciati, soprattutto rispetto alle istituzioni.
Mi è piaciuto il senso che si è affidato al nutrirsi bene, non inteso come mero gesto di salvaguardia della salute fisica del bambino, ma come triangolo tra sicurezza, salute ed ambiente.
Mi è piaciuto Rayden, cantante rap che ha coinvolto i bambini per lanciare un messaggio ducativo sul cibo tramite un racconto autobiografico, piuttosto che con concetti stereotipati imposti dall’alto, ed accompagnata dai disegni dei bambini (anche se non ho capito se il testo del brano è stato scritto dal cantante o dai bambini, ma spero che siano questi ultimi gli autori).
Mi è piaciuto il concetto del bello, che è emerso nell’introduzione del panel, e tutto ciò che si porta dietro. Perché ad una persona bella è consentito anche di dire cavolate (per rimanere in tema con lo stile del festival), e ad un piatto bello è consentito di non essere buono (non solo al gusto ma anche a livello nutrizionale).
Non mi è piaciuto in generale il ripetere quelle politiche che effettivamente hanno funzionato a Torino, le stesse che ha raccontato il primo giorno Fassino e che gli assessori invitati hanno ripetuto. So che è tutto in buona fede, ma ripetere così tante volte suonava alla fine come un tentativo di autocompiacimento un po’ stonato rispetto ad un festival oggettivo e dai contenuti scientifici elevati.
Il secondo panel è stato un dibattito dal titolo “Come la ricerca agroalimentare può fare notizia”. In assoluto questo è stato l’evento all’interno del festival che mi è piaciuto meno, per quanto mi elettrizzasse la visione del mondo spinta verso un futuro ormai prossimo. Ho sentito parlare di insetti come il cibo del futuro, perché positivi dal punto di vista nutrizionale (sono l’unico animale con fibre) ed ambientale, e che già ingeriamo inconsapevolmente nel ketchup, nella marmellata, nei fichi o nelle ciliegie, e nel caffè. Penso che il tema meritasse un approfondimento più accurato: non è semplice dal punto di vista sociale passare ad una alimentazione a base di insetti, e soprattutto si è ignorata tutta la discussione della storia culinaria del nostro paese e che prevede dei comportamenti in altri paesi assurdi (per i cinesi è assurdo che beviamo il latte, ad esempio). E soprattutto non mi è piaciuto il finale, in cui si è ricordata la pubblicità di Carlo Cracco rispetto agli insetti come alimento, avvalorata dal sex appeal del famoso chef. Poco prima era stato detto che la bellezza non è tutto nella vita, ed io da sempre combatto per questo, affinché non si valutino le persone e le cose dal loro aspetto. Non mi è piaciuto poi il fatto che si è screditata la capacità dei giornalisti di dare titoli corretti ai propri articoli, e della loro capacità di comunicare in modo corretto le crisi alimentari (salvo poi l’esplicita correzione di Caramelli che ha ricordato come nel caso della mucca pazza, la comunicazione è partita in modo erroneo da parte della componente scientifica che si occupa della valutazione del rischio alimentare). Non tutti i giornalisti del resto fotografano il Primo Ministro inglese che mangia hamburger con la figlia pur di non lanciare l’allarme mucca pazza! E ritorno a dire che c’è bisogno di più fiducia.
Ed ecco, voglio spezzare una lancia a favore dei giornalisti, perché qualche bella frecciatina se la sono vista lanciare nel corso del festival. In questo panel più volte ci si è rivolti a loro in modo accusatorio. Bisognerebbe fidarsi di più di loro. E trovo scorretto chiedere loro aiuto per pubblicizzare ad esempio le “biotecnologie verdi”, come se non sapessero cosa siano. Magari lo sanno e non vogliono parlarne bene. Le biotecnologie verdi del resto sono le biotecnologie applicate alla agricoltura. Non sono quindi gli ogm, ma quei procedimenti che portano anche agli ogm. E chi, come me, è contrario agli ogm, non può parlarne bene. Ma sono d’accordo con chi dice che l’Italia dovrebbe prendere posizione, perché ad oggi manca una regolamentazione vera e propria. Ricordo i danni degli ogm alla biodiversità, all’ambiente ed alla tradizione culinaria (si pensi alla stagionalità, già uccisa dalle serre e dalle importazioni di dubbia qualità).
Il terzo panel è stata una lezione. Mi ha veramente stupito in positivo. Una bellissima lezione sui reati alimentari. Il succo è che la legge italiana è così debole da “consentire” contraffazioni di ogni tipo dal punto di vista alimentare senza tutelare i produttori, i consumatori, il mercato e le persone oneste in generale. Ed è in corso d’opera la definizione di un disegno di legge che vada a disciplinare in modo più puntuale i reati agroalimentari.
Ultimo panel della mattinata “Se la mozzarella fa ammalare e la carne rossa è cancerogena, gli errori da non commettere nel comunicare gli allarmi alimentari”. Poco da aggiungere, perché il titolo è lungo ed esaustivo: spesso si commettono degli errori nel comunicare gli allarmi, questi non sono univoci, ma si rinvengono in livelli diversi. Basterebbe una collaborazione più fitta tra i vari settori. Una comunicazione maggiore e migliore, insomma.
Pausa pranzo. Ci siamo spostati, in coda come tante formichine affamate.
Ho seguito l’orda di food blogger e giornalisti alla ricerca di cibo, il nostro pane quotidiano, ed è stato divertente perché in cima alla fila una ragazza dell’organizzazione (a cui mancava solo il classico ombrello giallo da guida turistica) ci ha guidati verso il buffet in giro per Torino, sotto gli occhi attenti e stupiti dei cittadini e degli altri turisti.
Stavolta a curare il buffet non era Camst. E questa cosa mi è dispiaciuta, perché qualitativamente era inferiore rispetto a quello allestito il giorno prima. Ma non cattivo, ovviamente! Ho mangiato qualcosa in un bicchiere al cucchiaio, poi una sorta di Caesar Salad, sempre al cucchiaio, ed un…creme caramel, che mi sembrava hummus di ceci. Sono tornato dunque al salato, con panini e tartine, ed infine un biscotto, per chiudere in bellezza. Mi sono sentito particolarmente a disagio durante il pranzo, perché dietro di me un piccolo gruppo di giornalisti ha iniziato a parlare male dei food blogger.
Il loro discorso non era argomentato e si limitava ad una serie di considerazioni così stereotipate che mi sono cadute le braccia, a maggior ragione dopo tutti i pensieri sulla fiducia che avevo avuto durante la mattinata.
“I food blogger dicono solo tante bugie. Scrivono per compiacere le aziende, e per farsi belli agli occhi del mondo. Non hanno personalità e non sanno neanche scrivere in modo corretto!”.
Non odio i giornalisti. Odio soltanto questo modo di fare basato su una supponenza tale da farmi venir voglia di gridare VIVA L’UMILTA’. Nessuno è perfetto, in generale. Sembra una considerazione banale, o almeno dovrebbe esserlo, ma ad oggi non lo è. E c’è ancora chi cerca di difendersi puntando il dito contro gli altri. E’ un modo di fare sbagliato, non tipico dei giornalisti, ma dell’uomo medio del ventunesimo secolo, che non riesce a prendersi le proprie responsabilità.
E’ vero che chi apre un blog, come me, non è sottoposto a controlli. Ma non per questo è scontato che io scriva bugie, o che cerchi di compiacere chiunque grazie a questa “libertà”. Ed allo stesso modo non è scontato che chi scrive per un giornale sia in grado di farlo, grammaticalmente ed a livello di contenuti, e non è certo che l’indirizzo politico/editoriale del direttore li lasci liberi di esprimersi come vorrebbero. Forse è proprio questa libertà che ci lascia una personalità maggiore, ed una oggettività in più. Ma è un’ipotesi la mia.
Tornato alla Cavallerizza ho preso un caffè, gentilmente offerto da Lavazza. Il più forte che avevano, per resistere attivo. Ho preso posto a sedere, uno dei pochi liberi perché la sala si è riempita con la velocità di un concerto di Beyoncè. Un tutto esaurito per il panel sulla sicurezza alimentare. Effettivamente è stato interessante e ben strutturato. Ed è stato ricco di malinconia, perché è stato il mio ultimo panel del Festival! Ho lanciato l’ultimo tweet, ho salutato la sala ed i cavoli, che in questi due giorni sono diventati i miei migliori amici, e mi sono avviato all’uscita.
Ho fermato una ragazza dell’organizzazione per avere consigli su un posto in cui comprare dei souvenir gastronomici da portare a casa. Casualmente ho trovato una toscana, proprio come me. E grazie alle sue indicazioni ho potuto comprare dei gianduiotti, i classici cioccolatini torinesi, cartoline e calamite (che costano decisamente troppo a Torino), delle Mole Cola (la Coca Cola della città).
Ho bevuto un bicerin, da Fiorio, prima di fare queste compere. E’ una bevanda, anche questa tipica, a base di cioccolata calda, caffè e panna (o per meglio dire, Fior di Latte). Il locale è anch’esso storico, della metà del 1800, arredato con lo stile di quel secolo, con una eleganza classica avanguardista, delle torte in bella vista, ed un servizio ai tavoli molto efficiente. Anche se il proprietario ha rimproverato in modo troppo vistoso una delle cameriere. Odio quando lo fanno.
Ho ripreso a camminare, lungo il Corso ed ho finito di comprare le ultime cose utili per il viaggio imminente. Mi sono fermato anche da The Bakery, in via XX Settembre, per comprare un bagel per smorzare la fame durante il viaggio. Ad accogliermi una ragazza con una bandana annodata elegantemente con un fiocco in testa, ed un sorriso invidiabile. Il locale non è grande ma molto carino. Hanno molti tipi di bagel, con una varietà incredibile di panificazioni, dolci in stile americano, e tè freddi homemade da passeggio (ne ho preso uno limone e zenzero). Prezzi più che abbordabili, gentilezza e qualità. Lo consiglio vivamente a chiunque si trovi a passare di lì (è molto vicino alla stazione di Porta Nuova).
Ed eccomi salito sul treno per Genova. Il viaggio è stato davvero noioso. Una donna parlava incessantemente al telefono, rincuorando l’amica appena mollata dal compagno, una ragazza raccontava della sua giornata scolastica con tanto di fratello dell’amica che ci aveva provato con lei, ed altri due universitari discutevano della fisica con metafore trash. Io ero impegnato a soffiarmi il naso, per colpa del freddo preso sulla Mole, ed a cercare di non farmi gli affari degli altri, che invece erano intenti ad urlarmeli contro. Nota positiva: Vatinee Suvimol ha commentato il mio blog e mi ha messo dei like su Instagram *un LargoBaleno con gli occhi a cuoricino si aggira sul treno*.
A Genova ho cambiato treno, ed ho preso la coincidenza per Pisa. Sono entrato nella carrozza indicata dal mio biglietto, ovvero l’ultima, che ho scoperto essere non la prima classe, non la seconda, ma la quinta o sesta. Ho cercato il numero del mio sedile, il 26, e non l’ho trovato. Lo stesso è accaduto ad una ragazza e ad un signore, i quali mi hanno rassicurato dicendomi che c’era stato un problema con la vettura e che quindi alcuni posti non erano presenti. “Siediti dove trovi posto”. Ecco cosa mi hanno consigliato. Ho preso il primo posto libero, distrutto da questi tre giorni torinesi, dalla camminata assurda, e dal raffreddore.
Alla mia sinistra un ragazzo guardava una puntata di The Walking Dead sul pc. Troppo perfetto per i miei gusti: con tanto di ciuffo pettinato, jeans alzati al punto giusto, e sorriso smagliante, mentre io…ero un LargoBaleno arenato e raffreddato! Gli avrei spoilerato tutta la puntata, ma si era dimostrato gentile sia con me, che con il suo compagno di sedile, col quale aveva condiviso le cuffie per vedere il telefilm.
Alla mia destra una ragazza che ascoltava la musica, ed aveva un romanzo pesantissimo davanti: Educazione Siberiana. Ne avrete sentito parlare, molto più probabilmente del film. Lei mi snobbava.
Ed io, sempre più distrutto dalla vita, fissavo il sedile davanti a me. Le luci si sono spente definitivamente, e per quanto odi il buio, in generale, non era spiacevole come sensazione. Peccato che sia incapace di dormire in un luogo pubblico! Sono incapace di dormire in hotel con il mal di gola e le porte al fianco che sbattono, figurarsi in un treno in sesta classe!
Ho iniziato a parlare prima con il ragazzo perfetto alla mia sinistra, abbandonato dal compagno di sedile, proprio del telefilm che aveva finito di vedere. Aveva tutto l’aspetto di un classico torinese, ma era siciliano: Giuseppe, soprannominato PeppePepe. Studia veterinaria, si definisce asociale ed è ipocondriaco.
La ragazza alla mia destra, che mi snobbava, improvvisamente si scioglie. Katerynanana (soprannome che si è data da sola su Instagram), in sofferenza per il lungo viaggio, annoiata ma che non annoia. L’ho invidiata tanto, perché fa l’arredatrice per Ikea, ed ha quindi degli sconti (anche se non sulle polpette). Ma soprattutto ha studiato a Milano, lavorato a Pisa, collaborato a Brescia. Insomma, una girovaga da ammirare.
Eravamo un trio strano, soprattutto quando abbiamo condiviso la barretta con 1 miliardo di fermenti regalatami al Festival, ed esperienza di vita, con la sincerità di chi non si conosce ma si fida.
Allora forse non era del tutto vero quello che avevo pensato la mattina. Forse siamo esseri ancora in grado di fidarci. E di condividere cose intime con gli altri, come 1 miliardo di fermenti.
Ho salutato i miei nuovi amici, una senza voglia di uscire per il clima pisano poco invogliante, e l’altro pronto a sbranare le lasagne cucinate dalla propria ragazza.
Ed io? Fazzolettini, the caldo e letto <3
Perdonatemi per la lunghezza di questo post, ma è stata una giornata intensa, e non volevo tagliare niente di questa giornata!